domenica 15 gennaio 2012

Il Mercato Dei Libri Maledetti


Mi serviva qualcosa di speciale. Un incipit, un attacco convincente, magari un' epigrafe efficace; ma prima di ogni alta cosa, mi serviva un evento, una circostanza effettivamente degna di essere scelta come la prima tra tutte le circostanze possibili. Un preludio che contenesse in sè il paradigma di tutto ciò che sarebbe venuto in seguito. In ultima analisi mi serviva un Simbolo.



Fu allora che vidi il Libro.
Se ne stava lì in vetrina, alla Feltrinelli, in bella vista tra gli altri successi editoriali del mese: le confessioni di un giocatore di calcio, le ricette culinarie di una soubrette, le avventure dell'ispettore con i baffi, il copione dell' ultimo spettacolo del comico senza baffi.  Scandii quasi ipnotizzato una delle diciture di copertina: "Un enigma senza tempo!".  E nella mia mente, lenta e annoiata dal recente e intenso studio di svariati trattati di analisi matematica, ma per nulla refrattaria a tutta una serie di svaghi fantastici e remoti e persino proibiti, che quel titolo prometteva, nella mia stupida ed inutile mente sublunare si instillò, senza che io me ne accorgessi, il morbo infingardo della curiosità.

Adesso so per certo, e intimamente, che non fui io a scegliere il Libro ma viceversa.
Ma certamente non avrei potuto immaginarlo allora! Del resto chi, sano di mente, avrebbe potuto? Chi, se non uno squilibrato, avrebbe ipotizzato, anche solo due settimane orsono, che io - uno qualunque tra milioni - sarei stato in procinto di assistere all'orrore cosmico, e che si sarebbero dischiuse proprio di fronte a me verità indicibili che la mente umana da sempre rifugge perchè incapace di comprendere senza spezzarsi, e che, prima di perdere il senno, una singola occhiata fugace mi sarebbe stata concessa sull' abisso ove il Nulla sogna deliri senza senso e senza fine?



Come tutti gli squarci che si aprono sulla verità, la mia visione scaturì da una sequenza casuale di eventi separati: la lettura di un articolo di giornale e l'avvicinarsi delle festività natalizie. Nei giorni a seguire infatti mi dimenticai completamente del Libro, impegnato come ero negli estenuanti preparativi di un ultimo esame all'università, prima delle vacanze. Le mie energie però erano validamente alimentate dalla certezza che, dopo un esito positivo dell'esame, avrei potuto gustare il Natale libero da altri impegni, e dedicare praticamente ogni ora di veglia al cibo e ad un particolare regalo che avrei ricevuto. Si trattava - già sapevo da mesi - di un tablet Apple IPad2. In realtà, soltanto a pensarci, non stavo più nella pelle e in certi momenti, durante lo studio, fu più una distrazione che un incentivo. Avevo infatti appena scoperto come in rete fosse possibile scaricare copie digitali pirata di un numero sempre più notevole di libri: bestsellers, classici, manuali scolastici, fantascienza, insomma, si trovava un pò di tutto (persino riviste e quotidiani), e, avido lettore quale sono, passai ore a procurarmi in anticipo un bel pò di titoli con cui farcire il mio dispositivo non appena lo avessi ricevuto.




L'esame andò bene. Il dispositivo mi fu regalato. I libri, caricati in quantità. Ero pronto per due settimane di permanenza a casa dei miei genitori, e durante il breve viaggio necessario per raggiungerla, non feci altro che pregustare l'atmosfera calda e quieta delle serate che avrei passato a leggere nel salone grande di casa, al centro del quale troneggiava un imponente e funzionale camino a legna su cui mia madre, quando io ero bambino,  era solita arrostire un pò di castagne da gustare dopocena, affogate in un bicchiere di vino frizzante.

Capitò quindi, durante una delle prime mattine di vacanza, che sfogliando - se così si può ancora dire - la versione digitale di un quotidiano, io notassi un articolo in cui si parlava proprio del Libro che aveva attirato la mia attenzione giorni addietro, mentre passeggiavo per librerie. Nell'articolo, un recensore entusiasta, non si faceva di certo problemi a proporre paragoni importanti [1], paragoni che - seppi solo in seguito - gli erano stati suggeriti direttamente dalla scheda promozionale della casa editrice. Del giovane autore del Libro, tale padre Marcellugo Simeone da Comacchio, l'articolo rivelava poco: si limitava a sottolineare come una laurea in lettere e la professione di bibliotecario facessero per forza presumere si trattasse di un erudito. Nell'apprendere queste informazioni, ricordai all'improvviso che poco prima di partire avevo effettivamente scaricato -tra mille altre cose- anche una copia del Libro di padre Symeone.

Quello che riporto qui di seguito - e voglia per questo il Signore perdonarmi- è il resoconto, veritiero e dettagliato, di ciò che avvenne quella sera stessa, quando ignaro e sventurato mi addentrai tra le pagine di quello che si rivelò essere -  e il lettore più scaltro lo avrà già intutito - il Libro Maledetto. E lo faccio al solo scopo di evitare che qualcun'altro, dopo di me, abbia ad udire ciò che io udii quella notte, in un'esperienza del terrore al di là dell'umano comprendere, terrore di fronte al quale le nostre mitologie, le nostre più recondite paure, sono solo pietose menzogne che servono a coprire il vero terrificante quadro di insieme di ciò che chiamiamo realtà e del posto che noi occupiamo in essa.

Nelle pagine che seguono non vorrò indulgere a descrizioni di persone - se non quando l'espressione di un volto, o un gesto, non appariranno come segni di un muto ma eloquente linguaggio - perché, come dice Boezio, nulla è più fugace della forma esteriore, che appassisce e muta come i fiori di campo all'apparire dell'autunno, e che senso avrebbe oggi dire dell'abate Symeione che ebbe l'occhio severo e le guance pallide, quando ormai lui e coloro che lo attorniavano sono polvere e della polvere il loro corpo ha ormai il grigiore mortifero.




Affrontai la prima pagina del Libro con avidità e reverenza assieme, tanto la mia curiosità era stata amplificata dalle righe cariche di elogi della recensione sul quotidiano. Ciò che ricordo distintamente è che rilessi il prologo tutto d'un fiato, due volte, forse tre. Ero perplesso. Sì, perchè la prosa, a prima vista lineare e semplice, si rivelava, già dopo poche righe, sciatta, trascurata. Questo non era di certo lo stile di un erudito! In realtà avevo come l'impressione di leggere un fantasy per bambini, ma nemmeno: sembrava addirittura un libro scritto da un bambino! Evidentemente qualcosa mi era sfuggito. Si doveva trattare di uno "scherzo", come quelli che in musica componeva Bach per divertire gli ascoltatori a corte. Oppure di un astuto stratagemma letterario la cui funzione era quella di sbarrare la strada al lettore disattento per salvaguardare l'integrità di qualche verità profonda che sarebbe stata svelata una volta varcata quella prima soglia incomprensibile. Di sicuro la presenza, nelle prime due pagine del prologo, di locuzioni come "terribile presagio", "oscuro cocchiere" , "ghigno infernale" e poi di nuovo "oscuro cocchiere", costituiva già di per sè, una sorta di rebus che si prendeva gioco di chi, come me, non riusciva a decifrarlo. Sotto quella strana serie di incredibili banalità fuori luogo intuivo si celasse il sapere arcano che mi era stato promesso. Proseguii trepidante. L'attacco del primo capitolo recitava:
Chi fosse realmente Ignazio da Toledo, nessuno avrebbe saputo dirlo con certezza. A volte fu giudicato saggio e colto, a volte infido e negromante.
Ciò che mi capitò nel decifrare quelle righe, è strano a dirsi ora. Fu come se contemporaneamente due diversi livelli di suggestione avessero cominciato ad agire sulla mia persona. Come se quelle parole, amplificate dalla mia lettura, vibrassero a frequenze diverse, alcune frequenze udibili dal mio orecchio, mentre altre - le più basse - percepibili solamente dal mio stomaco. Le prime dominavano razionalmente i miei pensieri, rendendoli per forza di cose incerti, annebbiati, confusi di fronte allo sfacciato protrarsi dello "scherzo letterario" di Symenione: egli proseguiva infatti, pur ben oltre il prologo, a scrivere come un tredicenne e io, a questo punto, non potevo più immaginare il perchè. Ma, all'unisono, le frequenze più profonde del suo vano profluvio infantile già rimbombavano nelle mie viscere, tanto che all'improvviso provai una misto di nausea e spossatezza senza che in quel momento me ne fosse evidente la causa.

Procedere nell' analisi di quel testo maledetto significò quindi coniugare il sapore acido della bile con il gusto insipido e desolante di descrizioni come: "mantello con cappuccio",  "uomo alto e magro", "alta figura incappucciata", "forestiero con il cappuccio" tutte nella stessa pagina.  Nel momento in cui, dalla mia fronte madida a causa delle prime febbri, cadde sul Libro una goccia di sudore, gli occhi del personaggio di turno erano "penetranti smeraldi verdi". Poco dopo - e un brivido stava raggelando le mie vertebre - furono "occhi azzurri come quelli di un fanciullo" e poi di seguito "occhi grandi e ambrati" assieme a  "sguardi sfuggenti" e "pupille luccicanti" e "occhi pacifici e celesti" e poi - ora un fremito nervosamente si impadroniva del mio labbro superiore -  "occhi febbrili" e "occhi perplessi",  ecco lì uno "sguardo grifagno", là uno "sguardo attonito", e ancora "occhi da civetta" e  più in giù "occhi che si sbarrano", "occhi che si abbassano" "occhi da cui balena rabbia"; e tutto questo catalogo oftalmologico era contenuto nelle prime quattordici pagine del Libro, pagine che io avevo divorato in preda ad una inquietudine tanto febbricitante quanto immotivata, rapito in questa sorta di orgia descrittivo-oculistica che celava in sè - io lo sentivo-  oltre che una totale noncuranza per le parole di Boezio,  anche qualcosa di più recondito e morboso. [2]




Ripresi conoscenza. La gola arsa da un fuoco aspro.
Evidentemente mi ero addormentato o forse addirittura ero svenuto. Potevano essere trascorsi minuti o ore, non sarei stato in grado di dirlo, notai però che fuori era ancora buio. La febbre era aumentata di certo: ora, ad intervalli regolari, mi provocava delle fortissime contrazioni dei muscoli ventrali, quasi delle convulsioni. Stavo battendo i denti come un ossesso. Eppure, come se fosse l'unica azione rimasta da compiere, ripresi la lettura del Libro.
Le mie cellule epatiche insistevano nell' esercitare la loro funzione di produttrici di secrezione giallo-verdastra che, risalita su, fino dentro alla mia cavità orale, appestava con i suoi miasmi il sapore di questo folle risveglio e, contemporaneamente i dialoghi - nel Libro - cessavano definitivamente di esercitare la loro di funzione, sempre ammesso che fino a quel momento ne avessero avuta una. E mentre io ormai perdevo il controllo delle mie membra tremanti (e forse anche della mia mente oramai indebolita da quell'incubo), il Senso tutto si sgretolava in un vortice di rompicapi idioti, di rebus inutili, di enigmi di cui il mistero era già stato svelato e la cui nobile tradizione (e traduzione) veniva abusata, e poi si sfracellava in un tumulto di Nomi, sempre gli stessi, ripetuti centinaia e centinaia di volte, fino allo sfiniminento; spesso impronunciabili, lasciavano intuire trame di divinità appartenute ad un pantheon antichissimo,  ad un culto ctonio che precede l'umanità intera. Uberto, Rainerio, Maynulfo, SlawnikNyarlathotep. 
Farneticavo e nel delirio intuivo che ciò che si stava infine dischiudendo di fronte a me era un orizzonte allucinato e insano dove l'unica legge in vigore era una legge fatta di paradossi e contraddizioni, di anacronismi e tautologie, di banalità e di ripetizioni, e in virtù di questa legge, e con l'arroganza propria di chi detiene l'esclusivo diritto di legiferare, Padre Symenyonsthotep poteva instillare il soffio dell'acume nella sua creatura, semplicemente vergando ad inchiostro la frase "era un uomo dotato di acume" e poi, due pagine dopo, crudele demiurgo pazzo, far compiere alla medesima creatura le azioni di un completo imbecille. E in quell' universo incomprensibile la sua prosa blanda e corrotta acquistava un nuovo significato perchè quella lingua altro non era che la lingua degli Antichi, il linguaggio primigenio con cui Asthatroth, il dio idiota che gorgoglia e bestemmia al centro dell'universo sogna i suoi incubi di caos e nulla. Una nenia liturgica, insensata e immonda, che, pagina dopo pagina, risuonava uguale a se stessa, istante dopo istante, dall'eternità e per l'eternità.
"Ph'nglui mglw'nafh Cthulhu R'lyeh wgah'nagl fhtagn,  Ph'nglui mglw'nafh Cthulhu R'lyeh wgah'nagl fhtagn, Ph'nglui mglw'nafh Cthulhu R'lyeh wgah'nagl fhtagn....."
Devastato dagli spasmi ed in preda ad una improvvisa e violenta epistassi posai per un' ultima volta il mio sguardo demente sul Libro e cioè sul tablet che avevo utilizzato per la lettura, che - esattamente come la mia psiche - era oramai irrimediabilmente compromesso da certe macchie di sangue nero.



[1] Veniva tirato in ballo, nello specifico, un certo capolavoro di successo, anch'esso ambientato in epoca medievale, che una decina di anni prima aveva in qualche modo stravolto il panorama editoriale del paese. Ed effettivamente i due romanzi, il capolavoro ed il Libro di Simenone da Comacchio, condividevano una serie notevole di caratteristiche ( ma non tutte! ), non da ultimo il fatto che qualche regista di talento ne avesse di recente tratto un film

[2] Fu' forse a causa della mia indole precisa e incline alle scienze matematiche che non potei fare a meno di annotare come padre Symeone da Comacchio, evidentemente ancora ispirato dall' epifania oculare di cui era appena stato artefice fino a pag. 14, ma allo stesso tempo oramai a corto di organi di senso per la ricezione di stimoli luminosi, avendoli già descritti in qualsiasi personaggio fino a quel momento apparso nel suo romanzo, riesca ad uscire da questa impasse narrativa e a catapultarsi verso rinnovati orizzonti di occhi, tramite una semplice invenzione letteraria dal deciso sapore sci-fi a pag. 15: "Stai attento. Queste lagune hanno occhi".